L’Italian Sounding è un fenomeno rintracciabile in ogni parte del mondo che ha l’obiettivo di imitare le eccellenze enogastronomiche italiane, con risultati spesso discutibili. Oltre alla qualità dei prodotti, questa pratica mette in crisi il nostro Paese, che si trova davanti a perdite di fatturato notevoli.
Italian sounding: cos’è
Con l’espressione italian sounding si intende la pratica di imitare prodotti agroalimentari italiani per la commercializzazione fraudolenta. Per rafforzarne la credibilità, la si attua attraverso l’utilizzo di nomi, immagini e colori che evocano il Bel Paese, sfruttandone la fama in campo alimentare per fare buoni guadagni. In questo modo, la commercializzazione di prodotti italian-like ha superato quella del made in Italy autentico: due prodotti agroalimentari italiani su tre, venduti nel mondo, sono falsi (fonte Coldiretti).
Come nasce l’Italian Sounding
Secondo una nota di FederAlimentare, dal titolo La posizione dell’Industria Alimentare Italiana rispetto
alla contraffazione ed al fenomeno dell’Italian Sounding, la contraffazione riguarda “illeciti relativi alla violazione del marchio registrato, delle denominazioni di origine (DOP, DOC, DOCG, IGP, ecc.), del logo, del design, del copyright, fino ad arrivare alla contraffazione del prodotto stesso, con implicazioni di carattere produttivo e igienico sanitario, talvolta molto gravi”. Spesso vi si ritrova la falsa indicazione del Made in Italy e l’abuso di indicazioni di marchi di qualità. Nei casi più scorretti, vi è anche l’uso di ingredienti nocivi per la salute con produzioni e/o conservazione non idonee.
Nonostante la contraffazione possa essere legalmente impugnabile e sanzionabile, esistono proprio prodotti definiti di Italian Sounding, che sebbene non imitino il prodotto e non diano false informazioni, si servono di tanti richiami all’Italia, inducendo il consumatore ad associare erroneamente il prodotto all’autentico italiano. Infatti, il fenomeno spesso si avvale dell’esperienza e delle conoscenze di emigranti italiani, come dimostra la radicata diffusione nei Paesi delle grandi emigrazioni italiane.
I prodotti più imitati
Coldiretti stila periodicamente una classifica dei prodotti italiani più imitati. Il Parmigiano Reggiano è il prodotto più imitato, seguito subito dalla mozzarella di bufala, presentata spesso affettata o grattugiata. Sul podio anche il Prosecco. Tra i primi posti anche Gorgonzola, Asiago, Pecorino, salame e prosciutto San Daniele. I nomi sono spesso fantasiosi e in lingua maccheronica. Il fenomeno coinvolge il 97% dei sughi per pasta, il 94% delle conserve sott’olio e sotto aceto, il 76% dei pomodori in scatola e il 15% dei formaggi venduti in particolar modo nella GDO a un prezzo chiaramente inferiore rispetto all’originale.
Il report 2022 sulle perdite per il mercato italiano a causa dell’Italian Sounding
L’indagine “Italian Sounding: quanto vale e quali opportunità per le aziende agroalimentari italiane” di The European House Ambrosetti e Assocamerestero, in collaborazione con le Camere di Commercio Italiane all’Estero, ha studiato il fenomeno a livello globale interrogando 250 retailer di 10 Paesi (Stati Uniti, Canada, Brasile, Regno Unito, Germania, Francia, Paesi Bassi, Cina, Giappone e Australia) con focus su 11 prodotti tipici del Made in Italy agroalimentare (parmigiano, gorgonzola, prosciutto, salame, pasta di grano duro, pizza surgelata, olio-extra vergine di oliva, aceto balsamico, ragù, pesto e prosecco).
I prodotti Italian sounding, per quanto spesso conformi alle regolamentazioni e lontane da pratiche illegali, producono ricadute negative per la diffusione del made in Italy.
L’Italia gode di una quota di mercato rilevante a livello internazionale, con alcuni primati, quali:
- Primo esportatore nel mondo di pomodori pelati (78% degli scambi internazionali)
- Primo produttore ed esportatore di pasta (47% del mercato globale)
- Secondo esportatore di castagne, kiwi e mele.
- Primo esportatore di passata di pomodoro (26% del mercato)
- Primo produttore e secondo esportatore di vino (19,9% della produzione e 21,3% delle esportazioni).
Tra i principali partner commerciali vi sono al primo posto la Germania (8,4 miliardi di euro, il 22,4% delle esportazioni totali italiane), seguita da Stati Uniti e Francia (5,6 miliardi di euro) e, infine il il Regno Unito (3,7 miliardi di euro).
L’analisi della perdita economica
per capire meglio il fenomeno e da cosa possano dipendere le perdite, sono stati presi in considerazione due fattori, ovvero:
- la presenza sugli scaffali dei supermercati di prodotti autentici italiani
- i consumatori che scelgono prodotti non autentici perché più convenienti.
È emerso che l’Italian sounding risulta più marcato in Giappone (con quota di prodotti non autentici pari al 70,9%), in Brasile (70,5%) e in Germania (67,9%). I prodotti in cui è più riscontrato sono il ragù (61,4%), il parmigiano (61%) e l’aceto balsamico (60,5%). Il fenomeno dell’Italian sounding nel mondo vale 79,2 miliardi di euro. L’export agroalimentare della filiera italiana potrebbe raggiungere i 130 miliardi di euro se si eliminasse questo fenomeno.

Come contrastare il problema?
Il report propone infine 7 linee guida come “Manifesto per il contrasto all’Italian sounding”:
- Dotarsi di una visione Paese condivisa per favorire la consapevolezza del consumatore straniero verso le valenze del made in Italy agroalimentare comunicando con efficacia il valore del made in Italy e organizzando iniziative di educazione del consumatore
- Ridurre le barriere tariffarie e doganali
- Intordurre meccanismi che disincentivino all’indicazione fallace
- Integrare le forze politico-istituzionali nazionali presenti all’estero
- Favorire la crescita di massa critica delle aziende italiane del food and beverage che possa rafforzare la loro competitività internazionale e l’innovazione nelle strategie di marketing
- Far leva sugli italiani all’estero come ambasciatori del made in Italy
- Favorire l’adozione di soluzioni che consentano la tracciabilità dei prodotti.
In copertina: Foto di Ron Lach da Pexels