Le piattaforme streaming, così come i social network, ci pongono davanti a centinaia di contenuti diversi che ci propongono serie tv o video che dovrebbero rispecchiare i nostri gusti. Sofisticati algoritmi, fanno di tutto per farci avere a disposizione migliaia di post al secondo, ma per quanto si sforzino, spesso non sono propriamentein linea con gusti e passioni personali. Nonostante ciò, si innesca un meccanismo insolito che ci fa continuare a guardare ciò che non ci piace. Questo fenomeno prende il nome di hate-watching, che significa guardare gli qualcosa soltanto per il gusto di criticare.
Fare hate-watching di film e serie tv
Quello del hate-whatching è un fenomeno molto comune, che si è sempre praticato ma che si è diffuso in particolar modo con l’avvento del web 2.0, avendo a disposizione un’enorme quantità di contenuti e data dalla necessità di sfornare sempre più prodotti in tempi sempre più stretti per soddisfare il pubblico.
Alcuni show, come Glee, La casa di carta o Game of thrones, sono stati i fautori di questa pratica e hanno tenuto incollati tantissimi spettatori non perché apprezzassero i contenuti ma per un senso di critica per divertire i propri animi. I commenti negativi del pubblico però, non sono necessariamente un male perché in alcuni casi diventano esercizio pop collettivo che porta alla fortuna di alcuni prodotti che sarebbero altrimenti dimenticati per la loro qualità.
L’hate watching per Emily in Paris
Quando ci si riferisce alla serie Emily in Paris, sono pochi coloro che ne lodano la qualità del contenuto. Capita molto più spesso di sentire critiche sulla trama, sul guardaroba o sull’impossibilità che nella vita reale possano verificarsi le stesse situazioni che si possono vivere puntata dopo puntata. Insomma, le critiche, così come i meme a riguardo, superano di gran lunga le recensioni positive.
Infatti, l’hate-watching non viene fatto con programmi TV “spazzatura” ma lo sirivolge solitamente a programmi realizzati con grossi budget, in cui vi sono registi, attori o sceneggiatori famosi, per i quali si hanno grandi aspettative ma che danno vita a un prodotto al limite dell’imbarazzante. Questo esercita un’attrazione a cui qualcuno non riesce o non vuole resistere.
E l’hate following?
Nella sua variante social, la questione si i nfittisce. Guardare profili e contenuti prodotti da persone che non piacciono o che fanno cose sgradevoli, fa parte di un meccanismo psicologico che nasce dal desiderio di sentirsi superiori alla persona di cui stiamo guardando i video e nella possibilità di riversare sentimenti negativi e sprezzanti su persone che non fanno parte della nostra vita, senza rimorso. A volte non si segue direttamente quella persona, per dimostrare di non essere realmente interessati, ma si cercano comunque i contenuti che produce, per poi giudicarli o criticarli.
Lo stesso fenomeno si verifica con i giornali e si chiama doomscrolling. Si continua a scandagliare il web a caccia di news dolorose, senza poterne fare a meno.
Perché piace odiare?
Secondo lo psicologo JR Ilagan, intervistato da VICE, l’odio è una risposta emozionale molto forte, che stimola il cervello nella produzione di serotonina, dopamina e ossitocina, ovvero gli “ormoni della felicità”.
Altri studi invece dimostrano che le persone sono generalmente più felici se provano delle emozioni, anche se non positive. Secondo il fenomeno della toxic positivity infatti, sforzarsi di essere sempre positivi e felici è sbagliato perché si sopprimono tante altre emozioni del tutto normali e facenti parte della vita di ogni essere umano.
Il limite che non dovrebbe essere superato
Secondo Ilagan ci sono due tipi di haters: quelli che provano odio verso contenuti davvero criticabili, che sarebbe quindi un beneficio per la propria salute mentale – e «quelli che, indipendentemente dal contenuto, hanno bisogno di trovare qualcosa da odiare». Ovvero cercano un capro espiatorio per le proprie frustrazioni.
I rischi dell’hate-watching
Scaricare un po’ di tensione è positivo finché l’hate-watching rimane un guilty pleasure. L’esposizione all’odio o a fonti che generano malessere, rende però stanchi, incattiviti e stressati. La soluzione è smetterla di esporsi ai contenuti o profili trigger catalizzatori di emozioni negative. Quando la necessità di criticare assume tratti esasperati, è il momento di chiedersi se non ci sia altro nella vita dell’individuo che meriti di essere affrontato.
C’è anche un altro rischio: se si continuano a guardare show brutti solo per il gusto di dire che sono pessimi, a risentirne sarà la qualità degli show che avranno contenuti peggiori ma più gettonati.
Ci sono infine compagnie che usano questo fenomeno come strumento di business seguendo la regola del “bene o male basta che se ne parli”. Questa strategia ripaga sicuramente sul breve periodo, ma rischia di avere effetti negativi a lungo andare.
In copertina: foto di mohamed mahmoud hassan da Public Domain Pictures