bullshit job
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Quando il lavoro non serve: cos’è il bullshit job?

Spesso a parlare del proprio lavoro ci si sente a disagio se questo non è considerato di prestigio. In realtà però, ci sono mansioni che vengono considerate di tutto rispetto, senza sapere in realtà di cosa trattino. C’è di più, oltre ad avere nomi incomprensibili, sono anche lavori inutili, almeno per la società in cui si vive e prendono il nome di bullshit jobs.

La definizione è stata usata prima in un articolo e poi in un saggio da David Graeber, che è riuscito a descrivere il rapporto con certi lavori di recentissima comparsa che non servono e che portano spesso ad ammalarsi di lavoro

Prima del bullshit job

Nell’anno 1930, il famoso economista John Maynard Keynes aveva predetto che, grazie all’ausilio della tecnologia, paesi benestanti come la Gran Bretagna e gli USA avrebbero raggiunto una settimana lavorativa di sole 15 ore. In effetti, tecnologicamente avremmo tutti gli strumenti necessari per farlo ma ancora non è successo.

Al contrario la tecnologia è stata usata per inventare modi di far lavorare di più le persone. Sono stati creati posti di lavoro che sono, di fatto, inutili. Moltissime persone, soprattutto in Europa e Nord America, spendono la loro intera vita lavorativa in attività che, inconsciamente, sanno non essere necessarie. Il bullshit job è quindi “un lavoro senza senso”, «un lavoro senza alcuna utilità sociale né soddisfazione personale», per usare direttamente la formula offerta dall’antropologo americano David Graeber.

Foto di Ronald Carreño da Pixabay

L’inizio dei bullshit jobs

David Graeber in Bullshit Jobs (Garzanti, 2018) spiega come molti lavori oggi siano essenzialmente inutili ma la definizione non è, come potrebbe sembrare in apparenza, riferita a un brutto lavoro.

Quelli ci sono ancora e sempre faranno parte del mercato del lavoro: sono lavori mal pagati, considerati brutti e tossici per chi li esercita, ma comunque fondamentali per la società. Non sono una cazzata. Se si ha un brutto lavoro, è probabile che si stia effettivamente facendo del bene. In effetti, più il lavoro è vantaggioso per le altre persone, meno è probabile si venga pagati, ma non si tratta di un lavoro di merda in questo senso. Per fare un esempio, chi pulisce i bagni ha la dignità di sapere che sta facendo qualcosa di buono per gli altri, anche se non ne ricava altro.

Con il termine bullshit jobssi parla di quei lavori che, al contrario, il mercato tende a valorizzare molto di più, e che sembra bello avere, ma dove il lavoro svolto è completamente inutile. Il problema, quando ci si rende conto (e non sempre è così), nasce con se stessi perché non ci si sente utili alla fine di una giornata di lavoro.

Chi rientra nella definizione?

Graeber distingue tra varie tipologie di bullshit jobs:

  • tirapiedi (flunky), che servono a far sentire qualcuno più importante avendo qualcun altro di subordinato;
  • gli sgherri (goons), sono gli eredi delle guardie armate e praticano attività che servono per mostrarsi aggressivi;
  • ricucitori (duct taper), coloro che rattoppano errori strutturali nell’organizzazione;
  • barracaselle (box ticker), ricoprono mansioni burocratiche, che consistono nel compilare moduli, aggiornarli, inviarli per far sapere a un responsabile che si sta svolgendo ciò che viene richiesto;
  • supervisori (task master), ruoli nella gerarchia che creano compiti non necessari ai sottoposti in modo da giustificare la loro posizione. 

In copertina foto di StockSnap da Pixabay

Melissa Mercuri

Giornalista pubblicista, mi occupo anche di copywriting, social media, traduzioni audiovisive, ufficio stampa e insegnamento.

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