Sono 70 le aziende inglesi che hanno adottano da alcuni mesi il modello lavorativo di settimana corta. Ovvero, 4 giornate intense di lavoro su 7 e poi 3 giorni completamente liberi. E con la medesima retribuzione. Da venerdì a domenica si sta a casa. E sembra funzionare. La produttività, equilibrio, presenza e benessere psicofisico degli impiegati sono nettamente aumentati.
Le università inglesi stanno studiando gli effetti e le conseguenze della settimana corta lavorativa
L’Oxford, il Boston College e l’Università di Cambridge riveleranno a inizio 2023 i risultati dello studio condotto negli ultimi tempi sugli effetti della settimana corta lavorativa introdotta negli uffici britannici. Non lavorare da venerdì a domenica sarà controproducente sul lungo periodo? Oppure, ne beneficeranno tutti? Impiegati e aziende?
Attualmente, sembra proprio che i risvolti positivi si notino. Difatti, nel rapporto di 4 Day Week Global pubblicato sul Financial Times, si evince che la salute mentale e fisica dei dipendenti è migliorata, così come è diminuito l’assenteismo lavorativo e anche la produttività aziendale ha subìto una crescita di +8%. Infine, sono pure calate le dimissioni.
Settimana corta lavorativa nel mondo – i dati
Affiancando le università inglesi, si trova anche l’ateneo di Dublino, dove la sperimentazione della settimana corta lavorativa è stata attuata in 33 società irlandesi. Di queste, al termine dell’esperimento, 27 hanno mantenuto i 4 giorni lavorativi notando una crescita economica dell’azienda e una maggiore produttività nei suoi impiegati. Quest’ultimi, in un questionario al termine del progetto, si sono detti soddisfatti della settimana corta per un 97% (campione di 495 dipendenti). Questo perché, a detta loro, lo stress, la pressione e la fatica sono nettamente diminuiti.
In via sperimentale troviamo Spagna e Belgio. La prima, nel 2021, ha proposto il progetto pilota di una diminuzione oraria, da 39 ore a 32. Per prevenire anche il burnout. Il progetto si sta sviluppando per gradi sempre in 4 giorni lavorativi. Anche in Islanda, a Reykjavík, al termine del progetto pilota tra il 2015 ed il 2019, dal 2021 sono in settimana corta circa 2.500 impiegati.
Volando in Oriente, precisamente in Giappone, i risultati dell’azienda Microsoft hanno avuto un’impennata del +40% di produttività da quando, nel 2019, è stata concessa una giornata di riposo in più ai lavoratori.
Le aziende e imprenditori che aderiscono e si allineano alla settimana corta dove il venerdì non si lavora più in ufficio, appartengono principalmente al settore della finanza e del commercio.
Infine, il Paese apripista e sul podio per aver introdotto la settimana corta lavorativa è rappresentato dagli Emirati Arabi, riducendo le giornate da 5 a 4 e mezzo; lunedì – giovedì e venerdì mattina incluso.
E la settimana corta in Italia?
Diciamo che l’Italia, “manda avanti gli altri”. Qui, l’argomento è ancora freddo e non sembra essere tra le priorità del Governo. Anche se alcune aziende private hanno provato a testare questa new entry job, (a Milano Carter & Benson – consulenza strategica e head hunting e Awin Italia – azienda di marketing), ma a livello ‘amatoriale’ si può dire, di certo non coperta da normativa.
Si è fatta avanti l’Intesa San Paolo, Banca italiana, sbandierando la novità e la volontà di introdurre i 4 giorni lavorativi in ufficio, peccato che la questione non è nuova; come fa notare la Federazione Autonoma Bancari Italiani:
“Intesa Sanpaolo non ha studiato proprio niente: perché è previsto dal contratto nazionale di lavoro dei bancari sia l’utilizzo della settimana corta sia lo smart working regolamentato in sede aziendale. Quindi, Intesa sta applicando una norma del contratto nazionale già definita da tempo”.
Foto in copertina di studioroman – Canva